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Quando il pedone investito è responsabile del sinistro

Quando il pedone investito è responsabile del sinistro

I sinistri stradali pongono sempre dinanzi alla necessità di una disamina accurata dei fatti, in particolare della dinamica dell’incidente, che possa condurre ad un accertamento della responsabilità dei soggetti coinvolti.

Il rispetto del codice della strada e l’osservanza delle regole di cautela nella circolazione di veicoli è sicuramente il primo passo per evitare spiacevoli episodi che, talvolta, possono costare la vita. Il nostro ordinamento richiede un comportamento rispettoso in questo senso non solo da parte del conducente della vettura o motociclo ma anche da parte del pedone che circola sulla strada.

La posizione del pedone viene via via, nel corso del tempo, ad essere sempre più responsabilizzata. Emblematico è il caso del comune di Sassari che, negli ultimi anni, ha iniziato a multare i pedoni che circolano distrattamente perché attaccati allo smartphone, proprio nell’ambito della campagna di prevenzione di incidenti stradali “Smartphone zombie”.

Anche la giurisprudenza dei Tribunali si sta muovendo in questo verso ed, in particolare, sempre più nel senso di esaminare anche il comportamento del pedone coinvolto nell’incidente, oltre a quello del guidatore del veicolo. Ciò comporta importanti conseguenze nel momento della definizione della responsabilità ma anche e soprattutto nell’ambito della determinazione del risarcimento danni.

Il caso

Con sentenza n. 31714 del 4 dicembre 2019 della Cassazione Civile, la Suprema Corte è tornata a parlare di responsabilità da circolazione dei veicoli ex art. 2054 c.c. quando i parenti di una donna, rimasta vittima di un investimento, hanno portato dinanzi alla Corte la decisione in appello che aveva ribaltato completamente la situazione, rispetto a come era stata letta e valutata dal giudice di prime cure.

Difatti, il Tribunale aveva attribuito la responsabilità per il 70% al conducente della moto che aveva investito e trascinato per circa 9 metri la donna, e per il 30% alla vittima. Ripartizione questa che è stata poi commisurata in sede di risarcimento.

Impugnata però la decisione, la Corte d’Appello ha ritenuto di dover attribuire la responsabilità in toto in capo alla vittima, condannando i familiari al risarcimento del conducente della moto per i danni riportati nell’incidente. A questo punto, viene proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione portando all’attenzione della stessa la mancata valutazione della ricostruzione, fatta dai Carabinieri in quella sede, secondo la quale la donna era stata trascinata sull’asfalto per una lunga distanza, del tutto incompatibile con la velocità del veicolo, ritenuta moderata dalla Corte d’Appello di Roma.

La pronuncia della Corte di Cassazione

La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso accogliendo in primis il motivo, ex art. 360 co 1 n.3 c.p.c., concernente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 co.1 c.c.

L’art. 2054 c.c., al primo comma, prevede che: “Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”.

La prova richiesta dalla norma è quella di superare la presunzione di colpa prevista dalla stessa. È dunque necessario dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento dannoso oltre ad attestare che il comportamento del pedone sia stato del tutto imprevedibile per l’autore del fatto. In tal senso si verrebbe a delineare una responsabilità in capo al pedone stesso.

Ma con la sentenza n. 31714/19 si è pervenuti, nel caso di specie ad una soluzione differente. Per la Suprema Corte, infatti: “l’accertamento del comportamento colposo del pedone investito da un veicolo non è sufficiente per l’affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l’investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall’art. 2054 c.c., comma 1, dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e tenendo conto che, a tal fine, neanche rileva l’anomalia della condotta del primo, ma occorre la prova che la stessa non fosse ragionevolmente prevedibile e che il conducente avesse adottato tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo della velocità di guida mantenuta”.

Gli elementi da valutare

Alla luce di quanto statuito dalla Suprema Corte, dunque, devono essere valutati due elementi al fine di affermare la responsabilità del pedone, ovvero:

  • L’investitore deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, anche dal punto di vista della velocità del veicolo;
  • Bisogna dar prova che il comportamento del pedone non fosse prevedibile.

Cosa fare?

Sia nel caso in cui tu sia stato vittima di un incidente che investitore, è necessario rivolgersi ad un avvocato esperto in materia di risarcimento danni che possa, nella ricostruzione dell’evento dannoso, studiare una strategia di difesa.

Richiedi una consulenza specifica al legale alla luce della normativa vigente ma soprattutto degli ultimi orientamenti giurisprudenziali che hanno definito i nuovi confini del risarcimento del danno in caso di concorso in colpa del pedone.

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