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Assegno divorzile respinto per mancanza di prova dell’impossibilità di lavorare della moglie

La Corte di Appello di Salerno con sentenza del 26/06/2017 n. 29 ha stabilito che va respinta la richiesta di assegno divorzile dell’ex moglie disoccupata che non ha provato la sua concreta impossibilità, per cause a lei non imputabili, di procurarsi mezzi adeguati al raggiungimento dell’autonomia privata

 

Ecco il testo integrale della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA                          IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                  La Corte d’Appello di Salerno – Sezione Civile                riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei                                    Magistrati: Dott. Bruno   de Filippis Presidente Dott. Marina Ferrante   Consigliere rel. Dott. Sofia   Rotunno     Consigliere ha pronunziato la seguente                                  SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1112/2016 R.G. c.c. avente ad oggetto appello avverso   la     sentenza n.   5366/2016 resa dal Tribunale di Salerno in data 13.10-21.11.2016, in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio; vertente                                    TRA (omissis)   rappresentata e         difesa dall’avv. (omissis) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (omissis) in Salerno al Corso (omissis)                                                                      APPELLANTE                                      E (omissis)   rappresentato e         difeso dall’avv. (omissis) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Salerno alla via (omissis)                                                                        APPELLATA                                  NONCHE’ Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di SALERNO                                                       CONTRADDITTORE NECESSARIO All’udienza camerale del 22 giugno 2017, i Procuratori costituiti rassegnavano le conclusioni riportate nel relativo verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 5366/16.il Tribunale di Salerno, su ricorso (omissis) dichiarava la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio tra (omissis); disponeva l’affido condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, con residenza privilegiata presso la madre e diritto di visita per il padre; disponeva l’obbligo di contribuzione in forma diretta di ciascun genitore per i figli per il periodo di permanenza degli stessi presso di sé ed a carico del (omissis), in forma indiretta, mediante la corresponsione alla madre di un assegno mensile di euro 500,00, oltre il 50% delle spese straordinarie mediche e scolastiche; rigettava la domanda di assegno divorzile e compensava le spese.

Con ricorso depositato in data 21 dicembre 2016, avverso detta sentenza interponeva appello la (omissis) dolendosi per l’entità dell’assegno di mantenimento per i figli e per il rigetto della domanda di assegno divorzile.

Con comparsa depositata in data 2 marzo 2017, si costituiva (omissis) che resisteva al gravame chiedendone il rigetto.

All’esito dell’acquisizione del fascicolo di primo grado, la Corte, all’udienza del 22 giugno 2017, si riservava la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è infondato e va rigettato.

La sentenza di primo grado ha esaurientemente valutato le prove emerse nel corso dell’istruttoria, nell’ambito della necessaria contestuale valutazione delle posizioni di entrambi i coniugi.

La doglianza della (omissis) circa lo squilibrio economico venutosi a creare, nella sua prospettazione, non trova agganci assertivi, prima che probatori, concreti.

La sua condizione di disoccupata, invero, non è di per sé sufficiente, in relazione alla sua capacità di lavoro anche in relazione all’età.

Poi, se è vero che la mera attitudine al lavoro del coniuge in sé considerata, non è sufficiente a dimostrare la sua capacità di guadagno, essendo necessario tenere conto delle effettive possibilità di svolgimento del lavoro per il quale è idoneo, valutando il contesto concreto, in tutti i suoi fattori, di ordine soggettivo, di ordine ambientale e di ordine economico-sociale, è del pari da osservare che quando, come nel caso di specie, si invochi la modifica delle condizioni di divorzio deve far carico a chi asserisce la maturazione dello squilibrio a suo svantaggio e chiede la modifica dell’assetto pregresso provare in concreto lo squilibrio medesimo.

In merito, ferma l’assenza di concreti parametri in prime cure, le considerazioni suppletive svolte in questo grado si sono arrestate allo stadio di generiche deduzioni, senza però approfondire, come era invece indispensabile tutti gli elementi che, sotto il profilo individuale, oltre che ambientale ed economico-sociale, avrebbero dovuto caratterizzare il suo assunto al fine di configurare la impossibilità attuale di trovare una adeguata fonte di reddito, laddove il (omissis) ha, invece, concretamente dimostrato la sua ridotta capacità reddituale.

Quanto all’invocato assegno divorzile, deve ribadirsi, anche alla luce del più recente orientamento della Suprema Corte, che il rapporto matrimoniale, con il divorzio, si estingue definitivamente sul piano dello status personale dei coniugi, che tornano persone singole, sicché vengono a cessare anche tutti i rapporti patrimoniali tra di loro basati sul principio di solidarietà che, pur non venendo meno nella fase della separazione, si interrompono completamente in quella di divorzio.

Il matrimonio, dunque, non può essere considerato la strada per una sistemazione definitiva ed è soltanto una unione di affetti, per cui ove cessano questi ultimi si interrompono anche i legami patrimoniali.

In questa ottica, chi richiede l’assegno divorzile dovrà dimostrare di non essere in grado di potersi procurare, per ragioni che non dipendono dalla sua volontà, mezzi adeguati al raggiungimento dell’autonomia economica.

Di conseguenza, nel quadro dato, in difetto di prova specifica sul punto, le doglianze svolte dall’appellante non possono trovare accoglimento.

L’appello deve essere, pertanto, rigettato.

La materia in cui si verte inducono, peraltro, la Corte a compensare fra le parti le spese del grado.

Ancora, si osserva che l’appello è stato depositato il 21.12.2016, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge n. 228/2012, il cui art. 1 comma 17 ha integrato l’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002 aggiungendovi il comma 1 quater (omissis) del (omissis) seguente (omissis)

“Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma dell’art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Ne consegue che occorre dare atto nel presente provvedimento che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell’appellante (omissis) dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

PQM
P.Q.M.

La Corte di Appello di Salerno, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (omissis), con ricorso depositato in data 21 dicembre 2016 e notificato il 31 gennaio 2017, avverso la sentenza n. 5366/2016 resa dal Tribunale di Salerno in data 13.10-21.11.2016 così provvede:

rigetta l’appello e conferma l’impugnata sentenza;

dichiara integralmente compensate fra le parti private le spese della presente fase;

dichiara la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002 (comma introdotto dalla legge n. 228/2012) per il versamento, da parte di (omissis), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il presente gravame.

Così deciso in Salerno, il 23 giugno 2017